martedì 19 aprile 2016

773 - Madeleine Vionnet - Una pioniera del movimento di liberazione femminile

Non resisto alle storie interessanti. Specialmente quando si tratta di storie di donne. Specialmente quando si tratta di donne che con la loro storia possono essere di ispirazione per altre donne. Specialmente quando una di queste storie viene, nel tempo, dimenticata.

Se io scrivo il nome di Coco Chanel, dubito possa esserci qualcuno che deve cercare su google per sapere di chi sto parlando.
Ma se scrivo Madeleine Vionnet quanti sapranno subito collocare questo nome in un certo contesto storico, attibuendogli un volto, delle azioni, una vita? Pochi, temo...
Io ero tra loro.

 
Ero tra loro fino allo scorso sabato, quando, seguendo un consiglio, ho guardato un documentario trasmesso da Rai5 sulle donne nell'arte. Il documentario, parte di una serie, analizzava la figura di sei artiste vissute tra la fine dell'800 e i primi del '900. Madeleine Vionnet era tra loro. L'ho conosciuta così, rimanendo poi tanto colpita dalla sua vita da aver voglia di approfondire.
E, come sempre, quando trovo qualcosa di bello,  mi viene voglia anche di condividerlo.
Dunque eccomi qui a parlarne nel mio blog, il posto dove porto tutto quello che nel tempo mi ispira.
Se vi va di leggere la storia di una innovatrice illuminata, mettetevi comodi che cominciamo.

Madeleine Vionnet, nasce nel 1869 a Chilleurs-aux-Bois, un piccolo comune del Giura, nel centro-nord della Francia.
Il padre è un doganiere, le condizioni familiari sono umili, la madre muore in giovane età, e la bambina, come molte sue coetanee di ogni tempo o paese, a dieci anni lascia la scuola per andare a lavorare come apprendista sarta.

Trascorre lavorando infanzia e giovinezza, arrivando, di sartoria in sartoria fino in Inghilterra, dove affina sempre più il mestiere.

All'età di diciotto anni la sua carriera sembra però conclusa, a favore di quella di moglie e madre.
Ma il destino, il daimon, ha in serbo altro per lei.
A soli nove mesi il suo primo e unico bambino muore e questo fatto sconvolgente sembra darle la forza per rinascere in nuova forma, e lasciando il marito e un matrimonio in cui non si trova più, torna all'unica cosa che conosce e ama: fare abiti.

Trova nuovamente lavoro in alcune sartorie parigine, via via sempre più importanti, fino a che la sua passione e determinazione la portano nel 1912 ad aprire la sua propria Maison.
Ma la Storia, quella con la esse maiuscola, e ancora una volta un destino beffardo, tornano a fare irruzione nella sua vita con una guerra. La Guerra. 
Madeleine, costretta a chiudere l'atelier, parte dalla Francia per trascorrere alcuni anni in Italia, a Roma.

E probabilmente, proprio durante questo suo soggiorno, venendo a contatto con l'arte classica, matura la sua innovativa idea di abiti, che porterà con sé al suo ritorno in patria, dove è finalmente pronta per aprire una nuova casa di moda a suo nome.


Il successo è quasi immediato: il suo modo di fare abiti è sconvolgente, innovativo e per molti scandaloso.

Madeleine infatti ha sperimentato una nuova maniera di tagliare la stoffa: la taglia in diagonale, il famoso e da allora usatissimo sbieco. Lavorando con una tecnica tra scultorea e architettonica drappeggia poi la stoffa sul corpo femminile in modo che cada morbida, fluente,  leggera. E perché questi abiti possano essere indossati in modo semplice, elimina non solo quelle soffocanti e rigide costrizioni date da stecche e corsetti, ma anche bottoni, sottovesti e gran parte della biancheria intima. Uno scandalo. Uno scandalo incantevole che regala alle donne una sensazione nuova e irrinunciabile: quella della libertà. Libertà di indossare un abito semplice e bello, e libertà ancora più grande di poterlo fare per la prima volta da sole. Senza aiuti esterni per stringere lacci e rigidi busti, sistemare stecche di soffocanti corsetti, e infilare nelle asole decine e decine di bottoni.

La Maison Vionnet, sotto la guida della sua illuminata fondatrice diventa sempre più famosa e fiorisce in numero di lavoranti: circa milleduecento attorno agli anni Venti, in grande prevalenza donne.

L'illuminata Madeleine si distingue anche come datrice di lavoro.
Migliora i rapporti contrattuali, concede alle sue lavoranti malattia, congedi di maternità, e ferie pagate. Fa in modo che in azienda ci siano sempre a disposizione un medico, un dentista e un pediatra. Istituisce un asilo nido per accogliere i bambini delle sue ragazze e stabilisce per ogni nuovo nato, legittimo o illegittimo, una dote di 500 franchi.

Madeleine lavora e pensa come un'artista. E come un'artista fa in modo che il suo lavoro venga riconosciuto e protetto. Al contrario di Coco Chanel, è assolutamente contraria alla produzione di massa degli abiti, si batte con energia contro questa nuova pratica, ritenendo ognuno di questi unico e speciale. E proteggendo i suoi modelli non solo con la sua firma, ma anche con l'impronta digitale.
È il copyright: anche in questo Madame Vionnet è una pioniera.

Negli anni Venti e Trenta i suoi abiti sono famosissimi, arrivano a varcare l'oceano e diventano cult per le dive del cinema americano.


Ma di nuovo Storia e destino incombono su Madeleine. Allo scoppio della seconda guerra mondiale la fiorente sartoria dovrà chiudere per la seconda volta. 
Madeleine ha 63 anni, e, a guerra finita, la sartoria non riaprirà più.
Le biografie su questi suoi ultimi anni diventano avare di notizie. Madeleine è come sparita...
Si sa che morirà novantanovenne in stato di povertà.

E qui la sua storia sembrerebbe finita.

E qui io ho pensato, ma caspita, cosa ha fatto per trentasei anni questa donna intelligente e volitiva? Non riuscivo ad immaginarla sola, povera e triste in una casetta fredda della periferia di Parigi.
Ho continuato a cercare notizie, fino a che mi è venuto incontro Bruce Chatwin dicendo: eh ma infatti, non è così.
Chatwin, Vionnet... che confusione, penserete. Giusto, non perdiamo il filo :)

Mentre cercavo e leggevo le poche notizie che si trovano sugli ultimi anni di Madeleine Vionnet, ne ho trovata una che mi ha illuminato: Madeleine era stata rintracciata e intervistata da Bruce Chatwin nel 1973 e questa intervista era stata riportata nel libro Che ci faccio qui?

Tadah! Illuminazione!
Io quel libro ce l'ho. Non l'ho ancora letto ma è nella mia libreria da tanti anni.
L'ho preso dal suo scaffale, ho cercato nell'indice, e aperto a pag. 110 il capitolo intitolato proprio: Madeleine Vionnet.

Al tempo dell'intervista Madeleine ha novantasei anni ed è una signora vispa e irriverente che vive, assieme ad un'assistente,  ancora a Parigi, nel seizième arrondissement.
È del tutto consapevole della sua grandezza, e, sebbene il suo nome non abbia più la rilevanza degli anni d'oro, si dichiara categoricamente "La migliore sarta del mondo!" 
Chatwin descrive in questo modo la casa dove vive: "La facciata è decorata con festoni di frutta e balconi di metallo del più pesante gusto borghese. Varcata la porta si entra però in un mondo di grate d'alluminio, muri trattati a sabbia, vetri specchianti e superfici di lacca lucida: un interno nitido e asciutto quanto la stessa Madame Vionnet. [...] Il salotto è tappezzato di pannelli di pergamena naturale. «Per ciascuno una pelle di pecora» dice lei ridendo «Come vede sono una pastorella!» Questa stanza, si dice, è il più eccezionale interno art deco rimasto intatto a Parigi - con la sua proprietaria. Ci sono divani coperti di pelliccia, sedie cromate con schienali di pelle bianca e tavoli di lacca scarlatta, il colore dei templi buddisti in Giappone."

Madame Vionnet racconta a Chatwin parti della sua vita, partendo dal rapporto strettissimo col padre, passando da tutte le sartorie per le quali ha lavorato, e le terribili, ma fondamentali signore che le dirigevano. Madame Gerber, l'ultima per la quale è stata dipendente, era esigentissima, la più esigente: Madeleine confessa che deve a lei tutto il suo successo, tanto da portare sempre con sé una sua foto. 
Racconta di come sia stata ispirata da Isadora Duncan che danzava scalza, col seno al vento, avvolta in una scia di drappeggi: «Quelle artiste!» esclama con un ampio gesto rovesciando la testa indietro «Quelle grrrrrande artiste!» 

Madame Vionnet sa di aver liberato le donne dalle prigioni di abiti soffocanti e rigidi, si ritiene una pioniera del movimento di liberazione femminile. È tuttora convinta che nessuna donna possa essere bella soffocata da abiti troppo pesanti. I suoi sono invece così impalpabli.  Seducenti vestaglie, abiti che sembrano non avere una struttura. A tenerli tra le mani sono una cosa da niente, si afflosciano. Fino a che non sono indossati. È solo allora che si rivelano in tutta la loro meraviglia.

«Io sono una donna di straordinaria vitalità» assicura Madame a Chatwin «Non mi sono mai annoiata, neppure un istante. Non sono mai stata invidiosa di niente e di nessuno e adesso ho raggiunto una certa tranquillità.» 

"È soddisfatta del suo lavoro" continua Chatwin "Soddisfatta di starsene nel suo salotto a leggere una biografia del cardinale Richelieu".

Si stanca un po' durante l'intervista, verso il finale va avanti con più lentezza.
Si rianima non appena Chatwin torna a parlare di moda. La segue ancora, naturalmente, ma la trova così triste, infiacchita. 
Infine il discorso si fa più delicato, Chatwin le chiede del suo rapporto con gli altri stilisti del suo tempo e Madame Vionnet non si tira indietro nel raccontare.
Dior, Balenciaga, Chanel... la sua rivale. Colei che deve averla più infastidita.
Ma serafica dice solamente: «Era una donna di gusto. Sì, bisogna ammetterlo. Ma era una modiste! Vale a dire, caro mio, che si intendeva di cappellini!» 

Al momento di congedarsi Chatwin le chiede se può farle scattare una foto, se ciò può disturbare in qualche modo la sua tranquillità.
Scatti, scatti pure, risponde lei serafica e maliziosa.
Tanto non potrà fotografarmi il cervello!


Beh, forse non il cervello, ma il cuore, l'anima, Madame Vionnet, quelli sì.

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