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sabato 21 settembre 2013

690 - Il mulino abbandonato

Chi mi segue da più tempo penso sia al corrente della mia fascinazione per le case abbandonate.
Ieri, durante una passeggiata, la stella dei camminatori curiosi mi ha condotto presso una di queste.
Un mulino, per la precisione.

E' uno dei tanti mulini che si trovano sui versanti qui attorno, su quelle che in tempi remoti erano vere vie d'acqua. I numerosi rivi, scendendo abbondanti verso il mare rendevano la zona ideale per questo genere di attività.
Purtroppo nessuno di questi mulini è più utilizzato, la maggior parte sono, come questo, abbandonati, in rovina. Guardandolo non pare lasciato a se stesso da moltissimo... forse una decina d'anni? 
Come sempre succede, sarà rimasto abitato fino a quando sono morti i vecchi, le vere anime del luogo, i capofamiglia. Dopodiché nessuno dei figli o dei nipoti, sempre che ve ne fossero, lo ha voluto per viverci. Hanno preferito case più agevoli o abitano ormai tutti lontani... chissà. 

Sono così affascinata dai luoghi abbandonati. Non mi sono mai soffermata molto a pensare al tema dei fantasmi, per i quali penso ognuno abbia una sua opinione, da quella scientifica a quella magica. Per me, i fantasmi non sono che gli echi che posso ancora sentire tangibili in questi luoghi. Il cigolio costante della pala che gira. Lo zappettio nell'aiuola attorno alle ortensie. Il fruscio del pennello che rinnova il colore sui muri. Il respiro di chi sale e scende le scale più e più volte al giorno...



Ogni porta del mulino ha appeso il suo ferro di cavallo di buon augurio. Anche questo fa parte dei fantasmi del luogo. La porta di ingresso al piano inferiore è aperta: gettando dentro lo sguardo macerie, resti di falò, oggetti portati dall'esterno. Mentre l'ortensia, incurante di tutto, continua i suoi cicli, senza bisogno di null'altro che luce e acqua piovana.



   Dietro al mulino ci sono i resti di un'altra costruzione, pressappoco della stessa altezza. Di fronte, una vecchia vasca usata come abbeveratoio e, come sempre, una porta aperta, spalancata su quello che sembra essere stato un ricovero di animali.



Scendendo la scala di fronte all'abitazione, si arriva su una fascia verde che gira tutto attorno alla casa e affaccia sul rivo che alimentava la macina. Si possono vedere resti di ingranaggi e, come per il piano superiore, non sembra che il luogo sia abbandonato da moltissimo. O forse, di tanto in tanto, qualcuno viene ancora a falciare erbe e rovi?



Un'altra porta aperta, sulla parte della casa che affaccia sul torrente, un altro ferro di cavallo. La buona fortuna doveva regnare anche sulla cantina, a favorire buona vendemmia e numerose damigiane di vino. L'incuria non si è ancora completamente impadronita del luogo; sembra che il padrone di casa si sia allontanato un attimo prima, asciugandosi le mani con un vecchio canovaccio, la damigiana rovesciata ad asciugare. O forse è appena salito al piano superiore dalla scala che si intravede sul fondo, attratto dall'odore della cucina... 

Fra qualche ora sarà buio, non posso fare a meno di pensare al silenzio notturno che avvolge questi luoghi. Come non posso fare a meno di pensare, con un certo sollievo, che chi ci viveva e lavorava, non è più qui a vederne la decadenza. 
Tutto passato. Tutto appartiene al passato.

mercoledì 15 dicembre 2010

468 - passeggiata nel bosco tra autunno e inverno

approfittando di una delle limpide giornate di questi ultimi giorni, siamo partiti da casa, zaini leggeri e molta voglia di mettere un passo davanti all'altro e vedere dove ci portano. 

l'inizio è fatto di sole e stelle di campo. poi subito la salita ci prova a farsi sentire, nelle gambe e nel respiro.


la vecchia locanda, primo punto d'accoglienza sito all'incrocio di più sentieri, è chiusa ormai da tempo, ma sul muro rimane il suo invito a riposare.


le ultime olive nelle reti mi attraggono anche solo per questi colori così fratelli dell'autunno


e mentre la salita si fa sempre più respingente, nel bosco si apre una stanza, piccola nicchia accogliente.


aveva il muro azzurro, e alberi di palma in giardino, una delle tante case abbandonate che incontriamo.
-un cenno sul perché di tutte queste case abbandonate: nessuna è raggiungibile dalle auto. 
gli ultimi proprietari, che di auto evidentemente non avevano bisogno, sono ormai da tempo passati ad altri mondi, e i figli, o i nipoti, se ve ne sono, se sono rimasti ad abitare in questi posti, non hanno evidentemente interesse a mantenerle. e così decadono, lentamente. a volte si tratta di interi villaggi, e quante se ne trovano di queste testimonianze di un tempo così lontano, seppure non in termine di anni, da essere per noi quasi inimmaginabile-.


il bosco a volte rifiuta di farsi fotografare. si muove, sfugge all'obiettivo. ma pure, e forse specialmente in questi casi, si mostra nella sua essenza più misteriosa e altrimenti insondabile.


non sono tanto più belle le luci dell'inverno? filtrano basse tra i rami, creando giochi di ombre e colori come mai nelle altre stagioni.


sono sempre affascinata dal mare di sassi sapientemente inseriti nella traccia del sentiero. questa è una delle antiche vie del sale -dalla liguria di levante portavano, attraverso gli appennini, alle terre interne- . era qui che saliva la gente di mare portando i suoi beni più preziosi, il sale fra tutti, per scambiarli con altri altrettanto fondamentali alla sopravvivenza. e così ogni volta che percorro queste vie, penso a tutti i passi che hanno levigato le loro pietre nei secoli. ma ancora di più, e con gratitudine, alla pazienza e alla fatica di chi le ha trasportate e distribuite lungo tutto il -lungo, lunghissimo- sentiero, in modo da renderlo più agevole ai viandanti. noi compresi.


con l'altitudine arriva anche il mare.


mi piacciono queste strisce oblique di colori. dal freddo intenso bruno verde dei sassi e della terra già in ombra alla striscia luminosa di un cielo che guarda a nord.


il sole, qui alle nostre spalle, sembra precederci con lanterne accese, là in fondo,


quando invece è di fronte ci guarda con mille occhi di luce.


sul muro antico si arrampica libera la vite


e noi ormai scendiamo, e la discesa non è meno ardua, e il bosco si apre e si chiude a suo piacimento, mentre richiami di ogni genere echeggiano tra i rami. chissà quanti occhi ci stanno osservando...


mentre io mi giro un'ultima volta a guardare nel bosco attraverso questo occhio di albero.

e poi siamo a casa.

martedì 14 dicembre 2010

domenica 20 giugno 2010

406 - 100 case abbandonate

forse sapete già della mia fascinazione per le case abbandonate.
questa foto ritrae una di quelle che costantemente incontro camminando nei boschi e nelle radure qui attorno.
non potevo dunque rimanere indifferente al progetto 100 abandoned houses nel quale il fotografo kevin bauman documenta il lento degrado della città di detroit.
le ho osservate molto attentamente, una per una, queste cento (in realtà qualcuna di più) immagini di case che furono costruite, abitate, vissute, abbandonate.
ognuna con la sua forma particolare. la sua luce particolare.
i suoi ricordi di quella stanza da dove si vedeva tramontare il sole.
del silenzio nelle notti d'inverno.
dei passi leggeri sulle assi del pavimento quando ancora non è mattina.
...
vi lascio il link.
affinché possiate anche voi, in questa strana domenica quasi autunnale, passeggiare tra le cento case abbandonate di detroit.

mercoledì 7 ottobre 2009

300

sul cornicione della casa abbandonata, vive adesso un piccolo albero.

venerdì 3 luglio 2009

259 - all'inizio del sentiero

all'inizio del sentiero c'è questa finestra, che affaccia proprio sulla via.
la casa è abbandonata da tempo, ma dietro il vuoto che erano i vetri, per un gioco di luci e ombre, appaiono forme come se qualcuno, dall'interno, guardasse ancora i viandanti che passano.

giovedì 4 giugno 2009

242 - la casa e il suo panorama

la casa.
una delle tante che si incontrano andando per sentieri.
attorno ancora una certa aria di cura, nelle terrazze di alberi diradati.
rimane ancora ben salda al suo posto la grata di una finestra.


e questo è proprio quello che si vedeva da quella finestra.
un cupo di bosco fitto, digradante.
con i suoi orecchi di bosco.
con i suoi occhi di bosco.
con la sua voce di bosco.
che parla, e racconta storie di case e di gente di bosco che quelle case abitava.

sabato 30 maggio 2009

238 - mondi perduti o dimenticati

ogni tanto torna l'argomento dei mondi perduti o dimenticati.
è facile incontrarli durante le passeggiate.
mi piace per un momento prendermi cura di loro.

il mondo dimenticato dell'indicazione di una dimora.
si intravede ormai a stento la scritta villino, posta su un cippo in mezzo ai rovi.
ma guardandomi poi attorno il villino non sono riuscita a scorgerlo.
penso a chi quelle lettere le ha scolpite, a chi le ha commissionate, a chi tornando a casa le trovava in attesa.
muschi e licheni ora le accompagnano, e da chissà quanti anni conoscono solo pioggia, vento, sole.


il mondo perduto di un parco.
non si vede dal sentiero.
l'ho fotografato sporgendo la fotocamera dall'alto di una vetusta porta in ferro verde: ero curiosa, pensavo al di là vi fosse una casa.
invece no, la casa sarà ancora oltre il viale d'ingresso.
qui solo luce che filtra dai rami intrecciati di alberi antichi.
sulla sinistra si intravede l'incavo dove probabilmente era posta una statua.
sul piazzale un tappeto di foglie.


il mondo di un cancello arrugginito.
qui il mistero è ancora più fitto, perché oltre il cancello non vi è neanche segno di un viale.
né di casa, né di sentiero, né di piazzale abbandonato.
ma solo di intrigo di rovi, alberi fitti, e erba alta.
un cancello che non conduce più in nessun luogo.


sul muro si arrampica un'edera.

venerdì 30 gennaio 2009

185

uno dei miei argomenti ricorrenti è quello delle case abbandonate.
è ormai chiaro: ne sono affascinata.

finestre aperte da una stanza deserta, le persiane che sbattono di notte.
a volte è solo la parte di un palazzo, un'ala esterna, quella ormai solo abitata da polvere, ricordi, frammenti di parole.
li conosco a memoria questi spazi, so esattamente dove si trovano, fissati con precisione in una mia mappa mentale: la mappa dei luoghi dimenticati.
regolarmente li censisco.
sono alberghi chiusi con le loro stanze retrò di musica imprigionata e mobili sbeccati.
sono case camuffate in mezzo ad altre, che fingono consuetudini familiari, ma che io so deserte da anni.

da una certa panchina nei pressi della stazione ne controllo una.
è l'ultimo piano di un palazzo d'epoca, completamente abbandonato, lui solo tra tutti. gli altri, i piani sotto appaiono curati e dalle finestre si intuiscono vita e calore.
lassù invece silenzio. e vuoto.
immagino stanze che si aprono l'una nell'altra nelle quali risuonano echi, scricchiolii. a volte è una voce flebile che arriva dal pavimento quella che fa venire nostalgia per la vita nei piani sottostanti.

nell'antico palazzo dove aveva sede una delle mie scuole si diceva vi fossero sotterranei e soffitte colme di segreti. quel palazzo era stato nel tempo convento, lazzeretto, ricovero di soldati.
naturalmente nessuno aveva mai davvero visitato le sue segrete che potevano anche essere solo frutto della fantasia di adolescenti.
io sapevo però di un corridoio.
un corridoio che si stringeva un po' sul finale e che dopo un giro lungo terminava in una piccola stanza lontana da tutte le altre aule, nella quale aveva sede l'unico pianoforte della scuola. avevo avuto il permesso di suonarlo per esercitarmi nelle rare ore vuote.
mi piaceva quella stanza. sembrava aspettarmi. mi accoglieva.
ma ancora di più forse mi piaceva transitare dal lungo corridoio con le sue porte chiuse.
lo percorrevo al ritorno un po' di corsa, desiderosa e restia nel lasciarmi alle spalle quel silenzio inconsueto per raggiungere la normalità delle voci dei compagni.
lo pensavo poi di notte quello spazio.
immerso in un silenzio ancora più profondo, e in buio ancora più fitto.

venerdì 24 agosto 2007

20 - le case fantasma

sono per me di grande suggestione le case abbandonate.

e camminando nei boschi qui attorno, è facile incontrarne.
muri ormai ridotti a ruderi.
a volte si tratta addirittura di interi borghi, con tanto di via principale.
più spesso sono piccole case singole, o poco discoste da due o tre loro gemelle.
attorno rimangono lo sbiadito ricordo di un orto.
un albero di fico.
una panca in pietra sbrecciata.
tracce.
molto spesso queste case non sorgono neanche in un luogo felice.
ma nel fitto di un bosco.
in umidi minuscoli spazi ombrosi.
su un sasso scosceso.


questa si trova in uno dei punti più selvaggi che io conosca.


si tratta di un bosco ripidissimo, quasi un dirupo, che scende da una sommità di discreta altitudine, giù a picco fino al mare.

alberi, fittissimi, segnano il sentiero che scende tracciando un numero che pare infinito di tornanti.


nei rari momenti in cui i rami si aprono alla vista, questo è quello che appare.
tutto attorno e alle spalle, ancora e ancora alberi, e boschi oscuri, e coste scoscese.
lì sotto, lontano, da qualche parte si sente la risacca ondosa di un mare che non lascia allo sguardo la salvezza di un'isola, ma si apre in un orizzonte infinito, sfinente.
la casa si trova pressappoco a metà di questa scoscesa discesa boscosa.
attorno nessuna voce.
la strada più vicina dista ore e ore di cammino.
ed io ogni volta, ogni singola volta che passo da lì, non posso non pensare a chi questi luoghi li ha abitati.
chi in queste case in discesa ha vissuto una vita intera.
lontano da tutto.
sfioro leggermente un muro col dorso della mano.
è caldo.
ha un suo odore.
quasi chiudesse nei suoi pori la presenza di quella gente.
che rimane.
rimane lì.
per sempre.
per sempre.
per sempre.

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