sfogliando stamani un libro di escursionismo, ho casualmente trovato la descrizione di uno dei luoghi della mia infanzia.
lo chiamavamo il vallone, era in realtà una cessa antincendio sita sul fianco di un poggio selvaggio e ventoso.
il taglio del bosco aveva creato questo prato innaturale, che si srotolava lungo tutto il dislivello della collina.
ai due lati era fitto di bosco e silenzio.
e questo misto di selvaggio e artificiale contribuiva e rendere il luogo inverosimile e misterioso.
come se l'essere stato violato in quel modo gli avesse conferito una sorta di furia sommessa.
un ringhio pronto a colpire alle spalle.
sono anni che vi manco, ma ricordo bene il senso di oscuro e assieme di sguardo attento che veniva dal folto di quel bosco diviso a metà.
una volta lo percorremmo tutto dopo una fitta nevicata.
orme di animali e uccelli sconosciuti precedevano le nostre.
più spesso lo visitavamo di sera.
arrivavamo al prato soprastante e ci calavamo giù nel vallone mentre dal basso, a farci incontro, salivano le ombre del crepuscolo.
la risalita era poi veloce, col cuore in gola, pervasi da quel senso di paura ancestrale che si ricerca sovente da bambini.
correvamo selvaggi, lasciandoci alle spalle il mare scuro che mugghiava in fondo, ancora più in fondo. il cielo su in cima si colorava di indaco e noi gli correvamo incontro.
arrivati al prato stremati ci riposavamo quel poco che ci avrebbe consentito di continuare fino a casa attraverso una carrozzabile abbandonata.
allontanandomi, continuavo a voltarmi.
lo guardavo quel vallone oscuro e adesso avvolto dal buio.
lo guardavo di continuo, finché potevo.
mi voltavo, e mi voltavo.
coglievo a volte ombre fugaci.
che sempre rimanevano un mio segreto.
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